sabato 27 ottobre 2018

La lampada nella letteratura

La seguente opera si intitola ''La Poesia'', scritta da Giovanni Pascoli nel 1897, contenuta in Canti di Castelvecchio. Fu pubblicata per la prima volta il 9 gennaio 1898 sul Marzocco.





La poesia




I


Io sono una lampada ch'arda soave! 
la lampada, forse, che guarda, 
pendendo alla fumida trave,
la veglia che fila; 
e ascolta novelle e ragioni 
da bocche
celate nell'ombra, ai cantoni,
là dietro le soffici rócche 
che albeggiano in fila:
ragioni, novelle, e saluti 
d'amore, all'orecchio, confusi: 
gli assidui bisbigli perduti 
nel sibilo assiduo dei fusi;
le vecchie parole sentite
da presso con palpiti nuovi,
tra il sordo rimastico mite 
dei bovi:






II
  

la lampada, forse, che a cena
raduna; 
che sboccia sul bianco, e serena 
su l'ampia tovaglia sta, luna 
su prato di neve; 

e arride al giocondo convito;
poi cenna, 
d'un tratto, ad un piccolo dito, 
là, nero tuttor della penna 
che corre e che beve: 
ma lascia nell'ombra, alla mensa, 
la madre, nel tempo ch'esplora 
la figlia più grande che pensa 
guardando il mio raggio d'aurora: 
rapita nell'aurea mia fiamma
non sente lo sguardo tuo vano; 
già fugge, è già, povera mamma, 
lontano!






III 


Se già non la lampada io sia, 
che oscilla 
davanti a una dolce Maria, 
vivendo dell'umile stilla
di cento capanne: 
raccolgo l'uguale tributo
d'ulivo
da tutta la villa, e il saluto
del colle sassoso e del rivo 
sonante di canne:
e incende, il mio raggio, di sera,
tra l'ombra di mesta viola, 
nel ciglio che prega e dispera,
la povera lagrima sola;
e muore, nei lucidi albori, 
tremando, il mio pallido raggio,
tra cori di vergini e fiori 
di maggio: 






IV 


o quella, velata, che al fianco 
t'addita 
la donna più bianca del bianco
lenzuolo, che in grembo, assopita, 
matura il tuo seme;
o quella che irraggia una cuna 
- la barca 
che, alzando il fanal di fortuna, 
nel mare dell'essere varca, 
si dondola, e geme -; 
o quella che illumina tacita
tombe profonde - con visi
scarniti di vecchi; tenaci 
di vergini bionde sorrisi; 
tua madre!... nell'ombra senz'ore, 
per te, dal suo triste riposo, 
congiunge le mani al suo cuore 
già róso! –








Io sono la lampada ch'arde 
soave! 
nell'ore più sole e più tarde, 
nell'ombra più mesta, più grave, 
più buona, o fratello! 
Ch'io penda sul capo a fanciulla 
che pensa, 
su madre che prega, su culla 
che piange, su garrula mensa, 
su tacito avello; 
lontano risplende l'ardore 
mio casto all'errante che trita
notturno, piangendo nel cuore,
la pallida via della vita:
s'arresta; ma vede il mio raggio,
che gli arde nell'anima blando: 
riprende l'oscuro viaggio
cantando.




L'opera si struttura come un'ode alla poesia, elemento onnipresente che permea ogni momento della vita. La Poesia viene paragonata ad una lampada la cui luce è necessaria per i quadri di ambientazione notturna o per le immagini della Vergine agendo da luce rituale o, ancora, come luce sulle tombe dei morti. Posizionata in genere in posizione sovrastante (''pende alla fumida trave''), da una parte la lampada osserva ed ascolta e dall'altra ''raduna'' la famiglia contadina per la cena.
La Poesia-lampada non si limita solo ad accompagnare l'uomo nella vita di tutti i giorni ma si carica anche di una funzione consolatoria durante i momenti dolorosi come la perdita di una persona cara.


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